domenica 6 marzo 2011

DA OTELLO -di Gianfranco Pedullà e Nicola Rignanese



In foto: Gianluigi Tosto e Nicola Rignanese


Teatro di Lastra a Signa- Firenze



Una regia a quattro mani per una collaborazione già storicizzata in spettacoli come il recente Woyzeck- una versione per il serale di un testo che Gianfranco aveva già messo in scena ad Arezzo coi detenuti nella sua lunga esperienza con la compagnia del carcere(oggi chiuso, per ristrutturazione).
Uno scoppiettante autore e attore comico come Nicola Rignanese, noto anche per le sue apparizioni televisive- ricordiamo fra le altre la collaborazione con Antonio Albanese-nonché per essere stato protagonista del lavoro di Armando Punzo Teatro No fine anni Novanta.
Il lavoro, l'Otello, appunto, è segnale di uno spostamento in atto anzi, direi, uno spiazzamento rispetto al persorso artistico di Pedullà legato sia al soggetto drammaturgico-un classico della tragedia, nella traduzione di Salvatore Quasimodo, allo spazio teatrale, nuovo e molto bello del teatro di Lastra a Signa di cui Pedullà è diventato direttore artistico, che nasce nel solco di una non facile operazione di r istrutturazione del senso del fare teatro in una Regione che patisce il gap teatral- nazionale, ma contemporaneamente reagisce con idee proposte coraggiose e innovative

Avevo conosciuto Pedullà in qualità di studioso e come regista di teatro-carcere nell'ambito del progetto regionale del settore, lo ritrovo direttore artistico di un teatro rivalorizzato nelle vesti anche di regista di una operazione davvero particolare, insieme ad un attore come Rignanese.
Otello è un testo tragico, complesso, che si è prestato alle più diverse rappresentazioni e interpretazioni teatrali e critiche.Affrontarlo di petto come hanno fatto i due registi, deve essere stato un difficile scoglio. Nella versione di Pedullà- Rignanese, Otello, impersonato da Rignanese, è  esempio di bete. Jago è un figlio di buona donna (bravo Luigi Tosto, quasi televisivo nei suoi contorsionismi da piacione da rotocalco gossip) mentre Cassio non compare, mai.
Efficaci le immagini,plastiche, in un microsiparietto sul fondo, quasi sipario nel sipario, che annuncia, quasi fotografandoli, l'ingresso dei diversi personaggi in scena. Desdemona, la signora di Venezia, sposa al Moro, il guerriero gran conquistatore del mare adriatico- è una giovane donna innamorata  casta e ingenua. Emilia, la donna del fazzoletto, una risoluta ma altrettanto inesperta fantesca, che in un finale poco convincente in cui piange sulla bara nera di Desdemona, anche spiega cosa è accaduto- ( è questa una ridondanza della traduzione di Quasimodo che trasforma questo Da Otello  con un finale quasi da teatro dell'assurdo).
e Cassio? dov'è Cassio?
Forse Desdemona lo concupiva, come qualche interprete della tragedia ha sostenuto, al punto di ingenerare le ire del marito oltre che nemico di Jago? una interpretazione psicanalitica della tragedia(ricordo uno straordinario Otello con l'accoppiata Jago- Umberto Orsini e  Franco Branciaroli, il Moro) paventava l'omosessualità dei due uomini.
Se sbocco in una lettura protofemminista poteva essere- gli uomini pensano alla guerra, il loro è linguaggio autoreferenziale, odio gelosia e vendetta sono le loro parole d'ordine, nel caso di Emilia che piange la morte della sua padrona si avverte la sconfitta anche della serva che non è riuscita a salvaguardare la vita di Desdemona.
La tragedia si chiude qui, in questa versione da Quasimodo, con la percezione di due mondi separati, quello che dà voce alla guerra- un Rignanese corpulento, primitivo, bestione alleato se malgrado del truffatore presunto amico- un Gianluigi Tosto sottile fainesco da una parte, dall'altra quello delle donne che conoscono la lingua dell'amore e dell'obbedienza. Fino al sacrificio estremo.  Due lingue dell'incompatibilità.

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