lunedì 29 novembre 2010

Il Metodo Mimico di Orazio Costa. INTRODUZIONE AL MIO VOLUME IN USCITA

INTRODUZIONE

In foto Andrea Camilleri, allievo di Costa nel 1949-50 in Accademia Silvio D'Amico di Roma


di Renzia D'Incà



Conobbi Orazio Costa nel 1987. Viveva a Firenze, nella zona di San Lorenzo. “E’ una zona bassa della città- disse- bellissima, ma degradata. Il quartiere storico del mercato, che richiama turisti da ogni parte del mondo, è oggi a distanza di  diversi anni, abbandonato dai fiorentini e colonizzato da maghrebini, cinesi, romeni, una colorata e rumorosa comunità. Chissà che cosa ne avrebbe scritto Costa nei suoi appunti quasi quotidiani che costituiscono un patrimonio straordinario di intelligenza critica e note personali.

Ricordo che lo avevo contattato per una intervista che in seguito comparve sul trimestrale di critica Hystrio, per il quale collaboravo. Nel congedarmi, all’altezza della soglia di casa, il mio occhio cadde su una macchia rosa argentea, uno scintillio madreporico che sciamava da una teca di vetro. Dentro, come una minuscola camera delle meraviglie, occhieggiava una colonia di conchiglie multicolori, dalle forme armoniche e bizzarre. “ E’ una parte della collezione - disse il Maestro con tono sommesso- erano di mia madre”. Pronunciò quell’ultima parola- madre, come se stesse pregando.

Lo rividi a Pisa, nel 1989. Era d’estate. A Pisa Costa aveva lasciato frutti importanti della sua attività di didatta. Alcuni allievi avevano da qualche anno fondato una scuola di teatro, abilitata ad insegnare il Metodo Mimico. Proprio in quella scuola, la cui sede era ed è ancora la Chiesa di Sant’Andrea in via del Cuore, credo di aver sentito parlare di Costa con la devozione filiale che si dà a un vero Maestro.

Non ricordo come ed esattamente scattò in me il desiderio di approfondire e conoscere il lavoro del maestro. Certo è che qualcosa o qualcuno riuscì a far germinare dentro di me una curiosità e una passione che trascendono anche la più complice e corriva voglia di inseguire piste e segnalazioni sulle tracce di una presunta buona notizia o dell’evento da raccontare. Nel caso della pista verso Costa credo si possa trattare più di fascinazione per qualcosa di misterioso e sottile, come quando, addotti da un qualche filtro magico, cadiamo nella rete di un mistero che ci avviluppa e di cui abbiamo bisogno di sgrovigliare il filo. Per comprendere e comprenderci.

Ho sempre sospettato che destino e personalità procedano con passo eguale lungo i percorsi della via terrena: il carisma di Costa, che ho conosciuto oramai anziano, era indicibile. Lo ricordo al Convegno sul Teatro dello spirito a San Miniato nell’estate del 1991, una giornata di riflessione e studio organizzata per la Festa del Teatro a San Miniato, sulle colline fra Firenze e Pisa, era luogo dell’anima del maestro. Proprio là nel lontano 1949 Costa realizzò una delle regie memorabili della sua lunga carriera: Il poverello di Copeau. Era la Festa del teatro, un’idea di Silvio D’Amico che ancora oggi dopo più di 50 anni continua a mettere in scena testi a carattere religioso. Ricordo una signore bello ed elegante, con una gran massa di capelli bianchissimi che occhieggiavano da un panama rigorosamente bianco, vestito con un completo di lino bianco. Candido. Una voce spezzata Una voce candida.

( segue)

domenica 28 novembre 2010

Fragile show- Compagnia Biancofango

Recensioni stagione teatrale 2010-2011 FRAGILE SHOW

TEATRI DI CONFINE- Nuove scene nuovi pubblici
Fondazione Toscana spettacolo- CinemaTeatro Lux Teatro Sant'Andrea in collaborazione con Fondazione Teatro di Pisa




[Image]Andrea Trapani- Compagnia Biancofango Fragile show- da Il soccombente di Thomas Bernhard-Compagnia Biancofango in Rassegna Teatri di confine . Visto al Teatro Lux,Pisa



Fragile show, uno spettacolo della Compagnia Biancofongo, è il terzo lavoro della trilogia dedicata dal gruppo romano all'approfondimento del tema dell'"inettitudine" umana. L'incapacità ad essere adeguati, il malessere esistenziale del non saper rispondere alle richieste altrui o semplicemente a trovare il modo di far corrispondere la realtà al proprio desiderio, è tracciata attraverso una rilettura che prende a pre-testo il romanzo Il soccombente del viennese Thomas Bernhard, il più importante scrittore e drammaturgo austriaco della secondà metà del Novecento. Partendo dal finale del romanzo, la drammaturgia e regia di Francesca Macrì e Andrea Trapani (anche unico attore in scena), si dilata in una indagine sulla personalità di Mastino- alter ego del protagonista- il soccombente Werthaimer protagonista delle pagine di Bernhard-esplorando le dinamiche distruttive ed autodistruttive di una personalità che non accetta la sconfitta e che nella competizione della vita è sempre nevroticamente al confronto con l'altro da sé, un perdente. Certo, confrontarsi con Glenn Gould, il più geniale pianista del secolo scorso- così come ci racconta Bernhard nelle sue straordinarie pagine, non è cosa da non lasciar tracce anche sul più controllato dei concorrenti musicisti- ma Weirthaimer -Mastino soffre di una malattia più sottile, divorato da un'invidia senza remissione nè consolazione alcuna. La drammaturgia sposta la narrazione-un monologo di effetto scritto sul corpo di Andrea Trapani in una prova di oltre un ora e un quarto di massacrante fisicità-in una Firenze straniata, irriconoscibile, molto molto competitiva. Il protagonista, nel suo masochistico gioco all'auto massacro, decide di dare una festa, festa in cui invita i suoi ex compagni di conservatorio. Che si dvertono, intrecciano pettegolezzi, amorazzi, danze e brindisi. Mastino osserva da una panchina lo spettacolo della sua sconfitta. Non riesce a far finta di divertirsi o divertirsi, tout court- nel senso etimologixco del termine. Mastino si autodivora in un crescendo di rabbia.

Chissà forse in questo interrogarsi dei due coautori di Fragile show, c'è anche l'interogarsi degli artisti sul proprio fare, sempre inadeguato, mai abbastanza elogiato o forse semplicemente considerato, mentre la recita della vita sta fuori dal palcoscenico.

venerdì 19 novembre 2010

LUCA RONCONI AL TEATRO ERA

Pontedera-Teatro Era

Sabato scorso, in un luogo di impegno, di risorse intellettuali e creative internazionali, di ipotesi di rigenerazione, anche per trasmissione di saperi ed esperienze- si materializza il regista cult, l'europeo Luca Ronconi. Di fatto Luca, è l'unico regista che abbia, da decenni, fama della nostra origine italiana, all'estero. Almeno in campo teatrale.
E' presentato da Federico Tiezzi. Che lo introduce citando il Forster di Casa Howard- rimando nel rimando còlto dal collega Gianfranco Capitta, anche coordinatore della serata- "only connected". Only connected? di che? bè, ovvio agli addetti ai lavori:di architettura, musica, danza..
Nel 1976-78, a Prato, Luca Ronconi crea il Laboratorio del Fabbricone -in assoluta e totale libertà espressiva che- dice-segnò l'inizio per la scena, di una rielaborazione dopo Copeau, con la Sant'Uliva e dopo gli esperimenti fiorentini di quel genio di Gordon Craig, con il The Mask.
Dice Capitta- Ronconi ha fatto di Prato una capitale del teatro d'avanguardia. Inventore e protagonista insieme, Ronconi negli anni Settanta già lavorava a Vienna come a Zurigo, riconosciutocome maestro di teatro internazionale. In Italia aveva avuto la sua consacrazione con Orlando furioso, ma dopo la chiusura del laboratorio a Prato aveva lasciato il Belpaese per altri lidi.
Ronconi-continua Capitta- arriva in Toscana e fonda un progetto pedagogico unico e straordinario facendo di Prato una capitale europea di teatro.
- L'idea- ribatte Luca- non è nata da me ma dalla città di Prato. Io allora ero direttore artistico della Biennale di Venezia dove avevo portato Grotowski, Bob Wilson(una esperienza fondamentale del secolo passato, anche per il teatro musicale, Mnukine, Peter Brook...e ho scatenato molti mugugni.
-Eri stato insegnante in Accademia Silvio D'Amico negli anni Settanta.
-Sì, venivo da Roma.La sala del Metastasio raccoglieva molto pubblico della Pergola (alluvionata nel '66.
-Luca, tu non amavi gli attori che si distraevano-a Roma molti facevano anche telvisione, tu hai anche insegnato in Accademia Drammatica dopo il diploma
-Per me è essenziale la disciplina: a Prato gli attori facevano solo il lavoro di Laboratorio. Io volevo allora e tuttora voglio pensare ad un attore come elemento fondamentale della drammaturgia. Un attore deve saper leggere un testo. Un attore è un co-autore. Puntare al lavoro di conoscenza anche nell'errore. Marisa Fabbri è stata un esempio molto ben riuscito del mio Laboratorio. A Prato abbiamo avuto maestri come Luigi Nono, Umberto Eco,Gae Aulenti, anche se alcuni ci hanno rotto le scatole con "l'interdisciplinarietà"
-Il teatro è una categoria o una pratica?
-L'interdisciplinarietà allora dava fastidio, c'era chi si chiedeva:"che cosa ci può essere di profondamente teatrale in altre arti?". Di ciò se ne occupava allora Dacia Maraini, che aveva fondato a Prato il laboratorio sul Linguaggio, cioè come usare'esperienza teatrale come una possibile forma di conoscenza. Noi specificavamo il senso del fare laboratorio nel senso di un "luogo dove l'artigiano esercita il suo lavoro". Niente di teorico, quindi. Lavorare su un testo e moltiplicare le possibili letture è stato un must.
- In quegli anni fortunati in cui erancora possibile capire( l'interferenza politica poi è diventata più forte)fino a che punto si poteva spingere il teatro rispetto agli spettatori..
-E' stato un periodo felice perchè non era ancora codificato. E' stato una cosa nuova perchè era avvertito come necessario. Come non ancora nominato.
I rapporti con la città non furono sempre idilliaci. C'era un equivoco di fondo. Io sapevo cosa potevo fare. Loro, i politici, avrebbero desiderato più un servizio che un valore.Ci hanno accusato di sperpero di pubblico denaro.Era allora in corso un conflitto fra PSI e PCI. Noi prendevamo il minimo sindacali di allora (oltre che essere obbligati alla residenza). Veniva finanziata una attività teatrale che faceva pochissime repliche e non era un prodotto commerciale. Per qualche anno Prato è stata messa accanto alle più importanti città teatrali europee di teatro...
Attualmente dirigo la scuola del Piccolo a Milano anche se non sono un didatta. Non ho un mio metodo. L'obiettivo che mi prefiggo è di lavorare per far stare bene gòi attori. Il nostro lavoro può essere salvifico o patogeno. Mi spiego: l'Accademia di Roma accoglie ogni anno 30-35 ventenni che decidono di voler fare gli attori. A Prato non è stato così. Erano tutti attori già formati. Marisa Fabbri è stata una attrice strepitosa!
Oggi si stanno molto diversificando le categorie attoriali. In Accademia c'era un modo solo, quello di Orazio Costa o Sergio Tofano. Oggi non è più così. Ci sono attori in formazione che vogliono fare TV. Altri cinema.
-Una ricetta per attori e registi, oggi?
- Chiedersi quale futuro teatrale voglio? Elaborare possibilità future e non applicare codici già esauriti. Inventare qualcosa di necessario.

lunedì 15 novembre 2010

ANDREA CAMILLERI - INTERVISTA ESCLUSIVA di Renzia D'Incà

In foto: Fabizio Gifuni, ha rilasciato una ampia testimonianza


Ho incontrato Andrea Camilleri nella sua casa romana di via Asiago, accanto alla sede RAi dove lui stesso ha lavorato per lunghi anni, nel  gennaio 2008. L'intervista è inserita nel volume di documentazione sul metodo mimico di Orazio Costa, maestro amatissimo  e poi amico di Camilleri che fu suo allievo regista in Accademia d'Arte drammatica, a breve in uscita.


Sono stato allievo di Orazio nell’anno accademico 49-50. Ero l’unico allievo regista perché non c’erano allievi della classe di regia né di terzo anno né di secondo anno. Il metodo di insegnamento si svolgeva su due piani, l’insegnamento vero e proprio di regia per almeno quattro ore la mattina, che consisteva semplicemente in un faccia a faccia al di là di un tavolo a discutere su un testo. Si trattava di una analisi testuale la più approfondita possibile. Il primo testo sul quale cominciammo a lavorare fu il Filottete nella traduzione italiana di Ettore Romagnoli, che ai quei tempi era l’unica esistente. Ma nello stesso tempo avevamo di fronte anche il testo greco. Quindi procedevamo così: una iniziale analisi dalla traduzione di Romagnoli dal testo originario, poi una elaborazione di una sorta di traduzione che si basava su Romagnoli ma non si limitava a questa, perché era enormemente modificata dalla nostra stessa traduzione. Su ogni parola che noi modificavamo si svolgevano delle discussioni a non finire. Poiché ogni vocabolario che si rispetti di una parola offre due o tre versioni, il problema per noi era: identificare quale parola, per quale scopo. Tutto ciò era funzionale a individuare una linea di interpretazione registica del testo che veniva elaborata all’atto stesso della traduzione personale o dalla nostra correzione rispetto a quella del Romagnoli. Lo stesso tipo di metodologia di studio venne applicata anche sul testo dell’Amleto nella versione di Eugenio Montale. Il Filottete e l'Amleto furono i due testi sui quali lavorammo per un anno, praticamente tutte le mattine, insieme ad Orazio.


Quindi, ricapitolando, le lezioni di regia consistevano in lettura, traduzione e interpretazione del testo, per poi stabilire i modi migliori per rendere la nostra lettura critica del testo.

Orazio allora aveva un suo modo di lettura che consisteva nella evidenziazione di quelli che lui chiamava “nodi drammatici” e “colpi di scena”. Il procedere dei “nodi drammatici” all’interno di una battuta di una tragedia greca, per esempio, era in realtà il tentativo di individuazione del ritmo che avrebbe avuto l’interpretazione. Di cosa consistevano i “nodi drammatici”? Per Orazio il “ nodo drammatico” era ogni dato di novità che veniva fornito allo spettatore. Faccio un esempio pratico: nel Filottete, entrano in scena, appena comincia la tragedia, due persone, uno più anziano e uno assai più giovane. Altri dati di conoscenza non ne abbiamo. Né quale sia il luogo dove si svolge l’azione né chi siano i due personaggi entrati in scena. Sappiamo solo che sono due guerrieri, perché sono vestiti da guerrieri. Che uno è più anziano e l’altro più giovane.

Comincia a parlare il più anziano e dice:

“ Questa è la terra di Lemno

E' il primo dato che viene fornito dalla lettura.

“ Deserta. Lontana dalla rotta delle navi”.Questo è il secondo dato.

“Mai piede umano lo calca. Qui, io Ulisse....quante cose nuove sta dicendo...

“Oh giovane figlio Neottolemo- e qui abbiamo già identificato i due personaggi- tanti anni fa, abbandonai, per ordine dei miei capi, Filottete”.

Allora, se cominciamo ad analizzare questi primi versi scopriamo che Ulisse non abbandonò Filottete di sua volontà, ma per ordine dei capi. Poi spiega il perché abbandonò Filottete: aveva il piede malato. La somma di tutti i dati conduce a un “nodo drammatico” che viene enunciato da Ulisse, quindi i “colpi di scena” conducono al primo “ nodo drammatico”:si tratta di convincere Filottete a dare le armi che possiede, armi che permetteranno di vincere la guerra . Seguiva una scelta fra i diversi nodi drammatici che consisteva nel decidere a quali fra essi dare maggiore o minor importanza perchè dalla cernita delle cose da evidenziare, nasceva una interpretazione ritmica, oltretutto del testo.

Questi erano i tipi di lezioni che io facevo con lui.

Naturalmente per me, che venivo dalla letteratura, la cosa funzionava a meraviglia.

Poi c’erano le lezioni, alle quali partecipavo, che non erano vere e proprie lezioni di recitazione (le lezioni di recitazione erano tenute dai titolari di cattedra Sergio Tofano e Wanda Capodaglio..

Le lezioni che lui faceva agli allievi-attori si chiamavano “lezioni di mimica”.

Non credo che all’epoca Orazio avesse le idee chiare su quello che sarebbe stato il suo Metodo.

Credo che in quegli anni andasse sperimentando praticamente, attraverso di noi e soprattutto con se stesso, quello che sarebbe diventato il Metodo Mimico. Diciamo che questa “ Mimica”, che lui faceva, era – come posso dire- un po’ naif, rispetto a quella che è stata poi la sua elaborazione.

Certo, ci sorprendeva tutti. Ricordo il povero Nino Manfredi :non finì mai di raccontare la sorpresa che ebbe quando Orazio gli disse “Fammi un albero”.

La richiesta “ Fammi un albero” faceva cadere in un equivoco, per cui l'allievo col corpo disegnava l’albero.

Ma Orazio ti spiegava, subito dopo, che quello era il disegno di un albero. Non era un albero.

E che cos’era l’albero? L’albero è anche la linfa che c’è dentro.

E allora le cose cominciavano a complicarsi.

Oppure un'altra richiesta poteva essere “ Fammi un fumo”, Già, ma quale fumo?

C'è differenza fra un fumo di legna e il fumo di una locomotiva a vapore. Il fumo ha dei ritmi diversi.

Questo comportava mettersi, col corpo, a cercare non di segnare ma di essere il fumo o di essere l’albero.

Naturalmente, chi erano gli allievi più bravi? I più bravi erano quelli che coglievano il ritmo di una qualunque cosa. O da ferma o in movimento. Per esempio un cavallo meraviglioso, indimenticabile, ricordo, fu quello di Dino Buazzelli. Non disegnò minimamente il cavallo. Non si mise a quattro zampe. Rimase in piedi, appoggiato al tavolo. Ogni tanto batteva il piede per terra. Era un cavallo meraviglioso.

Ecco, era questo che interessava a Orazio: cogliere, dall’interno, la cosa da rappresentare.

Aggiungeva anche un altro esperimento mimico, all’epoca. Dopo aver fatto “l’albero” e “ il fumo” diceva: dimmi un verso qualsiasi . Accadeva allora che la voce che usciva non era più la tua voce, ma era il tentativo di essere una voce completamente diversa. Arrivammo a mimare tutti assieme come classe e al di là dell’esperimento singolo, per intero un poemetto del Pascoli Il ritorno di Ulisse. L'esperienza ci massacrò fisicamente. A questo punto, per quello che mi riguarda, mi sono fermato col Metodo mimico.

Poco prima che fondasse a Firenze la sua scuola, Costa venne per parecchi giorni a casa mia in Toscana e in cinque o sei pomeriggi mise per scritto quello che sarebbe poi stato il documento del MIM e me lo lesse. Oramai il Metodo mimico si era molto trasformato rispetto alle originarie e vecchie esperienze al punto tale che lui poi mi telefonò ed era molto contento perché questo metodo era stato anche preso in considerazione da dei geriatri. Il Metodo straripava dal solo fatto teatrale e diventava qualche altra cosa assai più importante, forse, del solo fatto teatrale. Su quello che è stato il suo Metodo mimico io posso dire pochissimo, perché tutto ebbe sviluppo dopo che io non lo frequentavo. Sono le generazioni dopo la mia che possono testimoniare assai meglio – credo che Roberto Herlitzka possa dire cose notevoli al riguardo- più di quanto non possa dire per esempio un mio compagno come Franco Graziosi, che pure è un grandissimo attore che però il Metodo mimico lo percorse nel suo addestramento attoriale.

-Sul documento dell’ETI mi ha colpito il racconto dell’impatto complesso che lei descrive dall’incontro con Costa, due personalità che si sono incontrate ma che in qualche modo erano divergenti.

-Completamente divergenti. Dei suoi allievi io credo di essere stato l’allievo più infedele per ciò che riguarda le sue idee di teatro, nel modo più totale. E lui aveva paura di questa infedeltà,in un certo senso, paura di addolorarsene tanto è vero che c’era questo curioso rapporto di grandissima amicizia e soprattutto di devozione da parte mia nei suoi riguardi, al punto di non essere mai riuscito a dargli del tu, malgrado lui me lo avesse chiesto centinaia di volte.

Lui non venne mai ad un mio spettacolo.

-Per paura di esserne deluso?

-Esatto. Io feci Beckett e lui non venne mai a vedere quello che era stato un grosso successo, il Finale di partita. La cosa bella era che certe regie che non poteva fare, le passava a me . Però non sarebbe mai venuto a vedere un mio spettacolo. Preferiva leggere le mie poesie, magari leggerle, alla radio, però nel momento in cui dovette lasciare l’insegnamento designò me come successore alla cattedra in Accademia con Ruggero Jacobbi, cioè designò, essendo un vero maestro, l’allievo meno fedele al suo insegnamento. Purtroppo io non ho avuto questa possibilità ma avevo già in mente il mio successore all’Accademia e sarebbe stato il mio allievo meno fedele. Lo stesso Costa, che era stato allievo di Copeau a cui aveva fatto anche da aiuto, non è che gli fosse in fondo così fedele, nel senso che il Metodo mimico che andava sperimentano, già dirazzava rispetto all’insegnamento di Copeau.

C’è una cosa che vorrei dire: attorno a Orazio si è creato un pregiudizio, quello che Orazio fosse un intellettuale raffinatissimo prestato al teatro, al contrario di Strehler che non era un intellettuale ma un puro e semplice animale di palcoscenico. Questo non è vero. Lo stesso Metodo mimico, per quello che io ne ho potuto capire, il privilegiare che fa dell’espressione corporale, ribalta completamente l’idea di Costa di intellettuale, semmai fa nascere dall’interno del corpo dell’attore l’impossibilità di espressione. Quanto di meno intellettuale si possa pensare.

-Questo pregiudizio da chi è stato formulato?

Da tanti registi, da tanti uomini di teatro, da tanti critici

-A questo proposito mi viene in mente ciò che mi ha detto Roberto Herlitzka sulle straordinarie capacità attoriali di Costa.

-Costa era un attore, su questo non c’è dubbio

- Quindi il Metodo vissuto anzitutto attraverso il suo corpo.

-Sì, sì. Vede per esempio, Orazio è stato aiuto di Sharof (verificare nome) però con Sharof ha anche recitato e Sharof non finiva mai di dirmi che bravo attore che era Orazio, certo si sentiva handicappato dal rotacismo che aveva ma era un bravissimo attore, straordinario.

- Comunque il fatto della preponderanza della mente o comunque dell’apparato teorico lei lo condivide…

-L’apparato teorico ce l’aveva, le ho spiegato infatti come si svolgevano le lezioni di regia

- Assolutamente teoriche.

-Assolutamente teoriche, se non che poi le incorporava e questo era un altro discorso magico suo. Poi io gli facevo da assistente alla regia e vedevo come tutto questo diventava carne e sangue in palcoscenico. Senza perdere nulla di quello che era il suo apparato teorico sul testo.

Non c’è nessun regista che abbia avuto tanti allievi così bravi e così diversi come Orazio.

- Per via della sua forte dimensione della socraticità.

-Perché, vede, si diceva “però quando fai l’esame di regia e metti in scena, lui interviene”. Certo che interveniva, ma non interveniva su un’idea sua di testo, interveniva sulla tua idea di testo. Se vedeva che tu non riuscivi a realizzare interveniva dicendo “si può fare in questo modo la tua idea non la mia idea di testo”. Poi ti insaponava la corda per impiccarti, ma te la insaponava quella corda, non so se mi spiego. Quindi sono tutte leggende. Il suo rigore morale, il suo rigore sul lavoro faceva nascere queste leggende.

- Era rigore il suo o rigidità?

-Ha detto bene: il suo rigore veniva scambiato per rigidità invece era semplicemente rigore. Tutto qui.

-Io mi sono trovata di fronte a bravissimi attori e bravissimi insegnanti di mimica, tutti con una personalità molto accentuata e anche un po’ anarchica rispetto alla matrice. E anche un pò rissosi, devo dire. Questa è una delle ragioni per cui io mi sono incuriosita, e anche stupita, rispetto all’anomalia di un maestro che comunque ha creato non una scuola ma tanti piccoli maestri.

Per quale ragione secondo lei Costa non ha mai dato una forma cartacea dei suoi quaderni?perchè non ha mai deciso di dare una definizione da lui firmata del suo metodo?

-Ora io non vorrei essere e passare per un uomo che dice paradossi, mi piace dirli, però: Costa non pensava mica di morire. Costa pensava di essere eterno. Sarebbe venuto forse il tempo in cui avrebbe dato un ordine, una sistematicità a quelle che erano le idee sue, ma era sempre un work in progress, sarà difficile fare un punto fermo. Sul fatto che Costa fosse eterno ne ebbi una riprova, avemmo una discussione che durò fino alle tre del mattino, a Roma. A proposito della sua messa in scena, se non ricordo male della “Novella del grasso legnaiolo”(verificare) di cui lui aveva scritto un cappello para-filosofico sulla burla del Brunelleschi - dissi “non funziona”. Non era facile fare cambiare idea ad Orazio e quindi la realizzò. E non funzionò. Telefonò la sera stessa e disse “non ha funzionato. Conto di riprenderlo fra una diecina di anni…”.

-Non aveva il senso del tempo

-Non aveva il senso del tempo. Le assicuro. Solo nell’ultimo anno esaminò la possibilità di morire perché ci incontrammo casualmente e lui mi disse- sai che siamo due cretini-? Perché Orazio? Perché siamo diventati due vecchi e invece di stare dalla mattina alla sera insieme a parlare, non ci vediamo più quasi mai. – E io dissi “Orazio, ci rincontreremo da qualche altra parte. Disse “ Non mi dire che sei diventato credente perché io comincio ad avere seri dubbi sull’al di là”.

Ecco, questa è stata l’ultima volta che ci siamo parlati. Quindi era un uomo imprevedibile

-Anche misterioso

-Sì. Era difficile adagiarsi su “Orazio la pensa così”. Una volta occupammo l’Accademia, insegnanti e professori. Una occupazione vera, dormivamo dentro l’Accademia che allora stava in via Quattro Fontane e una sera prima di addormentarci non ricordo quale ragazzo lesse una storia di Mao, dal Libretto rosso dove ci sono due che si perdono in un deserto. La storia racconta che i due stanno per morire di fame e di sete. Uno, prima di addormentarsi, legge il libretto di Mao. L’altro no. L’indomani mattina quello che ha letto il libretto di Mao, trova un cavallo, e si salva. L’altro, che non aveva letto il Libretto di Mao, muore.

Questo finale ci fa sganasciare tutti dalle risate. A cominciare dal direttore, che allora era quel genio Ruggero Jacobbi. Costa prese le parti di quello che non aveva letto Mao.

Disse “non è vero, è la Fede che…”

Allora, in quella occasione, Ruggero coniò, per lui, la memorabile definizione di “ Cristo maoista”. Che io trovo splendida. Perfettamente rispondente a Orazio.

-Cristo, Maoista ( ???)(Camilleri ride, tossisce)

Ecco, ha colpito personalmente me, il tratto molto aristocratico di Orazio-

-Lo era di natura. Di educazione. Perché la madre, la signora Nina, era un personaggio….

Il primo mese che io ero in Accademia da allievo, tornando a casa una sera verso le dieci con il tram, incontrai Mario Ferrero che allora era stato trattenuto in Accademia dopo aver terminato i tre anni. Non frequentava più le lezioni. Era rimasto per realizzare il saggio dell’Accademia perché allora i saggi, non li seguivano i professori ma gli allievi- registi.

Mancando l’allievo- regista di terzo anno fu chiesto a Mario Ferrero di rimanere. E così lo incontrai, casualmente, seduti sul tram. “Come ti trovi con Orazio?”- mi chiese.

“Male”

“ Perché ti trovi male?

Dico “ mi trovo male umanamente, perché, per mio temperamento, tu capisci, Mario, alle otto del mattino, io mi trovo di fronte a una lastra di ghiaccio. Che non si scioglie mai col passare delle ore. Io, se non ho un minimo di comunicazione umana con una persona, non resisto. Quindi sto meditando sinceramente e veramente di lasciare l’Accademia.

“Faresti un errore”-disse- perché lui ti stima molto.

Due giorni dopo, nella pensione dove io allora vivevo, squillò il telefono. Ed era una signora, con l’accento francese, che mi disse

“Sono la Signora Costa. Può venire oggi pomeriggio verso le cinque a casa mia. Ma senza dirne niente a Orazio?”

Ora, io non sapevo se Costa era sposato. Non sapevo chi fosse ‘sta' signora Costa.

“ L’aspetto alle cinque in Viale Parioli, 10.”

Le cinque, non so che lezione avessi. Però la saltai. E andai in viale Parioli. E mi trovai di fronte a una signora, anziana. Che mi disse:

“Mi chiamo Nina e sono la mamma di Orazio. Si accomodi.” Mi fece accomodare.

E mi disse: “ho saputo da Mario Ferrero che lei vuole andarsene dall’Accademia. Sappia che Orazio ne proverebbe un grande dolore. E io non voglio che mio figlio provi un dolore. Chiaro? Lei è siciliano. Io sono sarda ( lapsus) . Io sono Corsa. Ci siamo capiti?

“Perfettamente. Signora.”Divenne la mia seconda madre”.

-Ricordo un episodio. Ero a casa sua a Firenze, via della Pergola, c’era anche Alessandra Niccolini. Sulla porta mentre stavo per uscire dopo l’incontro, noto un contenitore con moltissime belle conchiglie. “Sono di mia madre”, disse abbassando gli occhi e mi sembrò quasi commosso.

- Orazio era legatissimo alla madre. Erano quattro fratelli Livio, Tullio, Orazio e Valeria

Livio è l’unico vivente, ha novantadue anni. Vive in Francia. Mi ha telefonato ieri. E’ lui che mi ha regalato questa testa di Orazio, è Orazio a vent’anni. E la scultura originale è fatta da Pericle Fazzini che aveva allora diciotto anni. E’ una meravigliosa scultura in legno di proprietà di Livio Costa. Livio ne ha fatto fare due copie in bronzo. Una l’ha regalata a me, l’altra all’Accademia.

Quindi erano quattro fratelli, tutti con nomi romani dato che il padre insegnava Storia romana. Livio e Tullio furono i primi ad andarsene via da casa. Valeria si sposò e Orazio rimase con la madre. La madre morì che Orazio aveva sui quarantacinque anni, capisce, c’era un legame strettissimo fra lui e sua madre, più che con gli altri figli. Tullio era un pittore e scenografo notevole, Valeria ha fatto la mamma ma ha dipinto cose stupende. Mi raccontava Livio: “era molto divertente, quando eravamo bambini, c’era un terrazzo avvallato allora quando pioveva lì si formava un pozza d’acqua e i fratelli giocavano a cosa ci vedevano, io ci vedo un elefante, io ci vedevo l’acqua dicevo io e quindi ho preso un’altra strada, gli altri sono diventati tre artisti.

La non fortuna come regista di Costa come la spiega?

-Orazio era un uomo solo. Orazio non era un uomo che avesse amici. Forse ne aveva uno, Paolo Milano. Quindi non aveva neanche un entourage che avesse un minimo di potere nella società teatrale, salvo D’Amico, che però è morto troppo presto. Non ha mai avuto accanto a sé una personalità come per esempio Paolo Grassi. Era un uomo solo, inviso per il suo carattere perché non concedeva niente a nessuno, certo che un uomo in Italia, anche di valore, se non ha un appoggio… aveva la stima profondissima di quelli che lavoravano con lui, dei suoi allievi, ma nel mondo teatrale si preferiva un regista che faceva più copertina. Ma non credo che la cosa a lui importasse più di tanto. Andammo io e lui a vedere Il carosello napoletano ( verificare) di Ettore Gelmini ( verificare). Era uno spettacolo straordinario, mi ricordo che ne parlammo a lungo con Orazio l’indomani mattina, allora ero suo allievo. L’Accademia a quei tempi era in piazza Croce rossa, andammo al solito caffè prima di iniziare la lezione, e lì per caso incontrammo Luchino Visconti. Orazio gli chiese, tu hai visto ieri sera Carosello napoletano? Sì. Che te n’è parso?

.






" Boh. Mediocrissimo spettacolo. Ho visto un albero trasportato a spalle da un macchinista.

Orazio non ha avuto nessuna remora a parlarne con me. Ne parlava con me... Capisce...non con terzi...  l'al Orazio era un individuo solo. A parte che diceva quello che pensava... al Ministero lo odiavano. A parte che allora dipendeva tutto dal Ministero che fece chiudere il Teatro Stabile.
-Quali sono gli attori più “ costiani, per lei? A parte Herlitzka?
-Lavia e Rossella Falk. Anche se lei non ama dirlo. Dino Buazzelli, Tonino Pierfederici.
- Ronconi?
-Ronconi è stato un buon allievo di Costa. Non credo che ne avesse mai condiviso i metodi mimici. Però Ronconi era un attore. Non era un regista. Ronconi venne in Accademia come attore. Non ha fatto i corsi di regia. Però, esordì in teatro con Orazio, nella cattedra di show(? Verificare!!!) Faceva la parte del giovane poeta Max Planck.( VERIFICARE!!!) e imparò molto a lavorare in palcoscenico con Orazio.
- E anche sulla testualità? Perchè la testualità è matrice essenziale. In entrambi.
.-Sì
-C'è qualcos'altro che ha voglia di raccontarmi?
-Niente. Se non questo grandissimo, rapporto, perso, di amicizia. Perso con la sua morte. Quella capacità di capirci. A volo. Questa sorta di avere gli stessi pensieri. O gli stessi sogni.
-Sogni?
-Guardi, è capitato due volte. Una volta abbiamo avuto lo stesso sogno. Io mi trovavo, con lui, a Sidney.
-Dove eravati stai o no?
-No. Mai stati a Sidney. Eravamo di fronte a uno stadio. Uno stadio però  di ottantamila persone. Io avevo la responsabilità dei microfoni e degli altoparlanti. E naturalmente c'era sempre qualche cosa che mi stava facendo impazzire. Che non funzionava. Arrivati ad un certo punto, perdevo le staffe e gli dicevo: ma che cazzo mi viene a raccontare, che questo è teatro, ma che questo con ottantamila spettatori è che ne so io, una partita di calcio, non mi dica che è teatro! Ed ero così arrabbiato che mi sono svegliato. E quindi il sogno mi è rimasto scolpito. Alle otto e dieci otto e venti, della mattina, squilla il telefono. E' Orazio. Da Firenze. Dice, lo sai che stanotte ti ho sognato? Sono rimasto ( ride), veramente, senza parole. Dico: e dove eravamo?
"Eravamo qui, a casa mia. E discutevamo sul numero ideale degli spettatori in un teatro.
Dunque: la sostanza del sogno c'era. La situazione era diversa. Cioè, voglio dire era ancora più impressionante la cosa perchè era la voce del sogno che era uguale.
Non la situazione.
E l'altra volta, è stata la nascita della mia prima nipote. Che avvenne inaspettatamente. In anticipo. All'una di notte.

domenica 14 novembre 2010

Recensioni stagione teatrale 2010-2011 FRAGILE SHOW

Andrea Trapani- Compagnia Biancofango
Fragile show- da Il soccombente di Thomas Bernhard-Compagnia Biancofango in Rassegna Teatri di confine . Visto al Teatro Lux,Pisa

Fragile show, uno spettacolo della Compagnia Biancofongo, è il terzo lavoro della trilogia dedicata dal gruppo romano all'approfondimento del tema dell'"inettitudine" umana. L'incapacità ad essere adeguati, il malessere esistenziale del non saper rispondere alle richieste altrui o semplicemente a trovare il modo di far corrispondere la realtà al proprio desiderio, è tracciata attraverso una rilettura che prende a pre-testo il romanzo Il soccombente del viennese Thomas Bernhard, il più importante scrittore e drammaturgo austriaco della secondà metà del Novecento. Partendo dal finale del romanzo, la drammaturgia e regia di Francesca Macrì e Andrea Trapani (anche unico attore in scena), si dilata in una indagine sulla personalità di Mastino- alter ego del protagonista- il soccombente Werthaimer protagonista delle pagine di Bernhard-esplorando le dinamiche distruttive ed autodistruttive di una personalità  che non accetta la sconfitta e che nella competizione della vita è sempre nevroticamente al confronto con l'altro da sé, un perdente. Certo, confrontarsi con Glenn Gould, il più geniale pianista del secolo scorso- così come  ci racconta Bernhard nelle sue straordinarie pagine, non è cosa da non lasciar tracce anche sul più controllato dei concorrenti musicisti- ma Weirthaimer -Mastino  soffre di una malattia più sottile, divorato da un'invidia senza remissione nè consolazione alcuna. La drammaturgia sposta la narrazione-un monologo di effetto scritto sul corpo di Andrea Trapani in una prova di oltre un ora e un quarto di massacrante fisicità-in una Firenze straniata, irriconoscibile, molto molto competitiva. Il protagonista, nel suo masochistico gioco all'auto massacro, decide di dare una festa, festa in cui invita i suoi ex compagni di conservatorio. Che si dvertono, intrecciano pettegolezzi, amorazzi, danze e brindisi. Mastino osserva da una panchina lo spettacolo della sua sconfitta. Non riesce a far finta di divertirsi o divertirsi, tout court- nel senso etimologixco del termine. Mastino si autodivora in un crescendo di rabbia.
Chissà forse in questo interrogarsi dei due coautori di Fragile show, c'è anche l'interogarsi degli artisti sul proprio fare, sempre inadeguato, mai abbastanza elogiato o forse semplicemente considerato, mentre la recita della vita sta fuori dal palcoscenico.


La Stanza- Teatrino Giullare di Harold Pinter- Visto al Teatro Sant'Andrea Pisa ( rassegna Teatri di Confine-Fondazione Toscana Spettacolo-  Teatro di Pisa- CinemaTeatro Lux- Teatro Sant'Andrea) vedi on line

Hamlice- Armando Punzo con la Compagnia della Fortezza al Fabbricone di Prato

Luca Ronconi- lectio magistralis al festival Teatro Era di Pontedera- vedi on line



Un sogno nella notte d'estate di Massimiliano Civica

Cronache dal Festival Inequilibrio ad ARMUNIA- Castello Pasquini Castiglioncello 17-21 novembre-in particolare FOCUS su  Lucignolo - on line di   e con Roberto Latini e su Si L'Ammore no di Elvira Frosini e Danile Timpano

Don Giovanni de I sacchi di Sabbia - on line e La magnificenza del terrore di Enzo Moscato
Festival Metamorfosi- Cascina La Città del Teatro

La Mandragola - Ugo Chiti e L'Arca Azzurra

Auntie and me, Alessandro Benvenuti e Barbara Valmorin

Indagine d'amore  di Nicola Zavagli con Beatrice Visibelli- a Firenze alla Pergola on line

Abito, regia di Roberto  Bacci- visto a Pontedera

La LUt-B.I.C.U.S e Festa a Teatrinscatola- visto a Siena Spazio Lia Lapini- on line