venerdì 25 marzo 2011

LUIGI LO CASCIO- PER COSTA

Da un po' di tempo alcuni pregiudizi influenzano, ma sarebbe meglio dire condizionano, un più esteso consenso nei confronti del metodo mimico. Alcuni dipendono da certe distorsioni che hanno dato luogo a numerosi fraintendimenti sulla personalità di Orazio Costa, altri sono legati a un difetto di conoscenza dei principi generali e delle possìbili applicazioni di un metodo da cui ci si è voluti difendere attraverso l'arma del sospetto, se non, più volgarmente, dello scherno. Non di rado mi è capitato di sentire qualcosa di sgradevole nei confronti di Orazio Costa. E al di là del mio immediato distacco (che mi consentiva di non prendere sul serio opinioni troppo superficiali) mi sorprendeva l'immediata comparsa di un sorriso interiore, di un senso di complicità e di gratitudine nei confronti del mio maestro. Perché quello che molti non sanno è che Costa, non solo era dotato di un'intelligenza e di una cultura fortemente inscritte nella nostra tradizione poetica e letteraria, ma aveva anche lo straordinario merito di mettere le proprie convinzioni alla prova delle più aggiornate teorie della fìsica, della biologia, della linguistica e della psicologia. Altro che vecchio... un fanciullo. Un fanciullo di vorace curiosità e spropositato genio che si lasciava alimentare e non travolgere dal fuoco delle proprie passioni. E quando dico fanciullo (che nel gioco mostra il suo più chiaro sintomo di forza) mi riferisco in modo esplicito a Friedrick Nietzsche. Ai detrattori di Costa, nessun pensatore sarà sembrato da lui più remoto che non il pensatore dell'eterno ritorno. Ma la vicinanza con Nietzsche è rintracciabile in tutta una serie di indizi di cui mi limito a ricordare almeno: l'importanza attribuita al coro, l'attenzione per la danza, la riattivazione del corpo mortificato. Una delle ultime cose che gli ho sentito dire a lezione è stata proprio una frase che lo stesso Costa non nascondeva di avere tratto direttamente dallo Zarathustra: "non dimenticate le gambe!". È il corpo danzante che ha in mente Costa quando intravede per l'uomo la possibilità di trasformarsi in ciò che vuole (tanto che converrebbe approfondire il nesso che ci può essere col filosofo tedesco riguardo a concetti come aldilà dell'uomo, superamento dei confini, ulteriorità, oltrepassamento delle forme rigide e consolidate). Cosa resta allora del pregiudizio di un Costa 'confessionale', alla luce di questa valorizzazione della danza? Cosa c'è di più lontano dalle convinzioni di Costa di quell ""ubi saltatio, ibi diabolus" usato come monito, come interdizione, come invito a diffidare di un corpo troppo plastico e fluttuante? Un altro attacco subito da Costa consisteva nell'accusa, mossa dai suoi denigratori, di un esagerato rispetto per il testo, non in linea con le più moderne e disinibite pratiche iconoclaste nei confronti di qualsiasi criterio di fedeltà. Pur non entrando nello specifico della polemica, vorrei sottolineare che preoccupazioni e atteggiamenti simili a quelli di Costa sono presenti in un regista e teorico del teatro che magari sarà stato caro proprio a quegli stessi detrattori a cui accennavo sopra. Mi riferisco a Peter Brook e a quella sua raccomandazione che suona pressappoco così: "l'attore non deve mai dimenticare che il testo è più grande di lui. I propri sentimenti sono una guida molto ingannevole".


Nella mia attuale esperienza di attore (si tratti di interpretare un personaggio, di recitare una poesia o leggere un testo all'impronta) mi viene diffìcile distinguere il magistero di Orazio Costa da ciò che invece sembra affiorare da una disposizione soggettiva. Non tanto perché, com'è comunque ragionevole, ogni allievo adatta l'insegnamento del maestro alla propria individualità, così da creare una sintesi particolare e irripetibile che si manifesta poi nella singolarità di uno stile personale. Credo che il motivo di quest'inestricabile presenza sia un altro e che riguardi proprio la natura del metodo mimico inteso come riscoperta di una facoltà già presente in ognuno di noi e che troppo precocemente viene accantonata. Se è vero che il metodo mimico si preoccupa di recuperare e riattivare la nostra originaria disposizione a rispecchiare in noi stessi un'immagine allusiva di ogni tratto di mondo, questa facoltà ritrovata diventerà una sorta di senso riacquisito e dislocato in mezzo agli altri cinque quale organo dì ricezione d'impressioni esterne. Questo senso ulteriore, oltre a ravvivare l'attenzione con cui sì osservano normalmente i fenomeni, organizza i dati percettivi in modo da costituire una riserva di unità elementari, di natura sia ritmica che plastica, che torneranno a galla, per via persino involontaria, in quei riflessi mimici coinvolti nel vivo dei processi creativi. Pertanto, se dovessi riferire qual'è l'insegnamento più radicalmente presente nella mia pratica attuale del mestiere dell'attore, direi che esso coincide con le tre parole con cui Orazio Costa, all'epoca delle nostre lezioni già ottantenne, era solito esortarci a un maggiore entusiasmo: "Vita! Vita! Vita!"

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