giovedì 24 marzo 2011

B.I.C.U.S FESTA -LA Lut

Siena












Attendiamo alla fermata dell'autobus in Piazza del sale. Freddo pungente- la stessa notte avrebbe poi anche nevicato.Ci è parso curioso il fatto di essere portati da un mezzo pubblico, tutti insieme, a teatro, la sala Lia Lapini raggiungibilissima in pieno centro. Tant'è che si fa viva una ragazza coi biglietti, che servono sia per l'autobus (che ci riporterà indietro) sia per lo spettacolo. In realtà attendiamo il numero 5, bus urbano insieme ad altri comuni utenti. Saliamo. Scopriamo che abbiamo anche un accompagnatore che ci fa da guida turistica nel breve tragitto lungo le mura. Entriamo nello spazio dedicato alla Lia Lapini, anche detto ex Vegé. La guida ci racconta filo e per segno la storia dello spazio, i problemi logistici,specie del sonoro. Saliamo le scale e qui troviamo una stanza con impiantito in legno sul quale è disegnata una sagoma di uomo. Sopra ad questa un vecchio telefono- o citofono, con la cornetta staccata. Ci fa visitare i due camerini dove veniamo scacciati da due attrici infastidite. Ci sediamo in circolo. L'uomo continua a raccontare. A questo punto ci rendiamo conto che siamo dentro una di quelle situazioni di teatro nel teatro. La guida-attore diventa personaggio. Un personaggio alquanto disturbato, insomma un maniaco sessuale. Tratto da un racconto dalle Brevi interviste con uomini schifosi del geniale scrittore americano Wallace- morto suicida due anni fa, Ugogiulio Lurini diretto da Giuliano Lenzi, ci regala un pezzo di bravura incarnando tic e posture di una narrazione che procede per accumulazioni e strappi spazio-temporali, una confessione scandalosamente tenera di un uomo chiaramente affetto da doppio legame con la madre, che peraltro era una professionista della psiche in quanto, racconta, esercitava la professione di psichiatra. Una mamma-mostro.Una volta rivelata la perversione del nostro maniaco, la tensione si scioglie in una soluzione fra il comico e il grottesco con l'attore che se ne va scendendo le scale mentre dai camerini escono le due attrici travestite da donnine da cabaret che distribuiscono bombon e pizzette al formaggio.



Scendiamo anche noi le scale e ci fanno accomodare sugli spalti della sala teatrale. Qui è in corso " Festa" per la drammaturgia di Rita Frongia e Francesco Pennacchia. Musiche ad alto volume anni Settanta, un gruppo di giovanotti, sei per la precisione, e un'unica donna. Un cinico padrone di casa che ascolta se stesso e sta sempre al telefono, un prete cocainomane, alcol a fiumi, bicchieri continuamente riempiti da un fervido barman. Danze. Sta per accadere qualcosa ma ciascuno gioca per sé. La ragazza è contesa. Ma forse non si tratta di una rivalità vera e propria. la festa si svolge su due piani, quello che vediamo in sala,quello che sentiamo e immaginiamo nell'altra stanza, quella accanto appunto dove spesso i sette compagni si tuffano per poi ripresentarsi e continuare le proprie individuali esteriorizzazioni. Alla fine la tragedia che si rivela per quello che è: non ci sono vincitori né vinti, non si capisce perchè ci sia scappato il morto. Ma come tutti i morti privi di identità il padrone di casa decide che gli sporca il pavimento. La festa è finita, basta ripulire ilil pacco di roba sporca che l'ha conclusa. Fino alla prossima festa, alla prossima ragazza, una vale l'altra nella società del potere cinico dove le vite valgono lo spazio di una serata.

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