venerdì 25 marzo 2011

MIRELLA BORDONI- PER COSTA


Mirella Bordoni si è diplomata preso l'Accademia Nazionale d'Arte Silvio D'Amico. Attrice, è dal 1993 docente al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma



Il metodo mimesico che trova i suoi presupposti teorici nel pensiero del granderegista francese Jacques Copeau, uno dei fondatori del teatro moderno, è stato ideato e praticato da Orazio Costa dal 1944 al 1977 all'Accademia d'Arte Drammatica «Silvio D'Amico» di Roma; all'Accademia di S. Cecilia dal 1967 al 1970; alla scuola di Anversa, all'Institut des Arts de Diffusion di Bruxelles e illustrato in incontri internazionali a Bucarest, Bruxelles, Essen, Parigi, Venezia e Stoccolma.
Sono Mirella Bordoni, allieva e collaboratrice di Orazio Costa,ho insegnato recitazione secondo il metodo mimesico al Centro di Avviamento all'Espressione di Firenze; alla Scuola di Espressione e Interpretazione Scenica di Bari (dedicata alla specifica formazione dell'attore sulla base tecnica esclusiva dei principi mimesici applicati con la massima integralità in ogni materia di studio); alla Scuola di Teatro «La Scaletta»; al Centro Sperimentale di Cinematografia; e a «Laboratorio Cinema».

Col recupero,
con l'esercizio e con l'affinamento
dell'istinto mimico
e dei suoi riflessi spontanei,
riconoscere, liberare, perfezionare
le forme, le forze, le interazioni organiche
dell'espressività naturale
e riscoprirne, esplorarne, acquisirne
il coerente armonico confluire
nella parola vivente
e in ogni altro linguaggio
in cui si manifesta
l'inesauribile incontro
dell'uomo con la realtà
(Orazio Costa)





Così nella complessità, nella libertà, originalità e personalità di queste scelte è la novità dell'atto mimico alla cima dell'evoluzione umana. Il suo evidente diretto rapporto con la realtà porge poi il fondamento prelogico di un processo analogico, mentre l'immedesimazione con l'immagine fisica che si forma in noi del fenomeno offre la base per l'invenzione e l'adozione della metafora. Considerando poi che in origine (come risulta dal confronto con il comportamento infantile e con certi vertici parossistici dell'attività adulta) alla forma assunta dal corpo in una condizione mimica deve aver corrisposto rigorosamente, legata in stretta dipendenza, una condizione analoga dell'apparato fonatorio se ne arguisce che il suono vocale espresso in un momento di blocco mimo-fonatario è a sua volta naturale immagine sonora dell'oggetto mimato e in pratica una sua nominazione o attributo. Il metodo Costa riconosce nell'attività mimica il fondamento di tutte le arti e propone all'individuo di rivivere ogni fenomeno autentico dei significali. Nel suo complesso il metodo può offrire il desiderabile contributo di uno studio che allena il corpo ad una partecipazione creativa nei processi conoscitivi troppo spesso limitati alla sfera intellettuale e mnemonica.


Alla scuola di mimica che cosa imparo?
Che cosa imparo facendomi fuoco, aria, pioggia, onda, albero, sasso, fiore
uccello, fulmine, tuono?
Imparo l'infinità delle strutture, dei pesi, dei ritmi, delle tensioni e l'imparo
a tutti i fini immaginabili, nella loro essenza analogica come schemi
disponibili di pensieri, di macchine, dileggi, di poesie, di preghiere ... .
Imparo l'infinità dei modi di nascere, di vivere e di rinascere, di far parte
della realtà e di contenerla, di dare ad ogni attività l'infinita probabilità
d'ogni colore e d'ogni timbro mediante una o più altre....
Imparo il moto, il gesto, la voce, il silenzio di tutto....
Imparo sentimenti, affetti, passioni, a tutti i livelli che voglio propormi, dal
soffio di una piuma al cataclisma vulcanico....
Imparo infine che se è matematicamente impossibile imparare tutto e se
nonostante l'incremento degli esponenti che sospingono verso
l'innumerevole, quel poco che so', infinitissime cose restano fuori dal mio
dominio, tuttavia delle cose che restano fuori, basta l'evocazione di una
immagine pregnante, il soccorso combinatorio di una analogia, perché al
momento della loro necessità, nascano grazie all'umana macchina mimica,
consumatasi a rivivere tante altre...
Orazio Costa







Il Metodo mimico nella preparazione dell'attore e degli artisti e nel processo educativo



Il metodo Costa parte da una concezione della vita e del suo esprimersi in arte secondo una visione organica essenzialmente biologica della realtà umana e si fonda sul recupero di un elementare e singolare fattore della originalità della creatura-uomo: lo spirito mimico prolungamento e vertice dell'istinto imitativo della vita animale: considera originate e plasmate dallo spirito mimico tutte le reazioni proprie delle manifestazioni espressive e di conseguenza la parola e i diversi linguaggi in cui si concreta l'attività artistica. Nella attività infantile sembra poter rilevarsi la presenza, persino prima di ogni capacità imitativa, di una tendenza a rispecchiarsi e quasi, fondersi con la realtà del proprio orizzonte vitale: sia esso il volto o il seno materno come poco più tardi la presenza del mondo esterno, gli altri la natura, gli animali. Tale rispecchiamento istintivo si accompagna presto di fronte all'uomo con l'imitazione (resa possibile e facile dall'identità) che è ripetizione fedele membro a membro di atti e azioni in preciso parallelismo di corrispondenze e poi di fronte agli oggetti e fenomeni del mondo esterno non umano si prosegue come ulteriore momento dell'imitazione pur sempre mediante il concorso degli arti e del loro moto ma resa più ardua dalla non identità è: tentativo, prova, esperimento di immedesimazione attraverso corrispondenze approssimative e riferimenti discontinui a questo o quel momento dell'oggetto o fenomeno colto a modello di cui si avverte prevalentemente il ritmo. È questo secondo aspetto assai critico dell'imitazione la zona mimica dell'attività di rispecchiamento e immedesimazione. Mentre l'imitazione è stata esaltata e compiutamente utilizzata grazie alla sua evidenza e facilità per l'educazione e l'insegnamento e detrimento dello sviluppo originale della fantasia, l'attitudine mimica tanto più aperta all'iniziativa personale viene relegata ai giochi e presto ostacolata nel suo manifestarsi libero e fantastico impedendole così di contribuire scopertamente all'educazione. Il metodo mimico vuole recuperare per l'educazione moderna in genere e per tutta la formazione della creatività e dell'interpretazione, questa zona che da troppo tempo giace in noi non utilizzata, anche se mai spenta del tutto, come una prerogativa unicamente umana prematuramente soffocata dopo averci donato la lingua e i principali linguaggi costretta a dissimularsi ma non a sparire grazie ai suoi testimoni permanenti: il linguaggio nella sua formazione storica e le arti così come nel presente i processi formativi del bambino e quelli dell'artista.

D'altra parte analizzando il rispecchiamento mimico si arriva alla conclusione che esso è addirittura "in nuce" il modello dell'attività creativa infatti verifichiamo che si realizza in due tempi: il primo essendo quello dell'analisi creativa dell'oggetto o fenomeno della realtà che è sotto osservazione e dell'individuazione dei suoi punti caratterizzanti. Il secondo quello della scelta di essi e della destinazione agli arti disponibili più opportunamente utilizzabili per rispecchiarli: in germe cioè un tipico processo creativo, scelta dei dati da rappresentare, scelta dei mezzi necessari per renderli.





Intervista rilasciata da Mirella Bordoni per la tesi di laurea: «II Centro di Avviamento all'Espressione di Firenze. Nuove aperture didattiche del metodo mimico di Grazio Costa» di Tiziana Bergamaschi.
-gentilmente concessa-







DOMANDA: Mi puoi parlare della tua esperienza di insegnante di mimica al «Centro di Avviamento all'Espressione» e delle conseguenze, sul piano lavorativo, che questa esperienza ha avuto per te?

RISPOSTA: Ho insegnato al Centro di Firenze dal 1980 al 1983.

Come sai, si trattava di corsi informativi della durata di due mesi ciascuno.

E' stata un'esperienza interessante, per me, come docente, perché applicavamo il Metodo, oltre che per la formazione strettamente artistica, a vari gruppi di

persone (insegnanti, bambini, impiegati, musicisti, casalinghe) che spesso per la prima volta si accostavano ad un corso di avviamento all'espressione con risultati evidenti: alla fine del corso i partecipanti si sentivano più liberi, più comunicativi, più a contatto con il proprio corpo, più sicuri nell'espressione vocale.

Mi ricordo particolarmente un gruppo di insegnanti, tutte signore molto “seriose", che all'improvviso esplosero d'entusiasmo diventando: mari in tempesta, fuochi, scintille, ruscelli; ritrovando vocalità soffocate: urla, risa, sussurri, continui, azzardi tonali!

Per altri i nostri corsi sono stati l'occasione per verifìcare le loro qualità

espressive e decidere di fare il lavoro di attore, giovani che si sono poi iscritti all'Accademia o hanno continuato a studiare e lavorare a Firenze.

E ancora abbiamo avuto ragazzi, con problematiche psico-affettive o problemi di emarginazione, a cui il Metodo ha offerto l'opportunità di liberare un'espressività naturale e migliorare il proprio equilibrio.

Dall'esperienza del MIM di Firenze mi sono resa conto di quanto il Metodo possa essere usato a servire fini oltre che artistici anche educativi e sociali.

Questa consapevolezza mi ha portato ad applicarlo nei corsi che ho tenuto al C.E.I.S. di Roma per i ragazzi tossicodipendenti.

Qui si è lavorato soprattutto sul corpo: la mimica fa riaffiorare un corpo

elementare, organico, erotizzato e ''ritrovarsi" nel corpo, esprimersi attraverso il corpo, diventava per molti la prima manifestazione di un essere che si afferma come soggetto.

All'inizio c'erano tentativi di liberazione che rasentavano lo psicodramma, io ho sempre cercato di evitarli favorendo l'espressione di una motricità ricca di

significato, di affettività, di comunicazione.

Siamo arrivati a mettere in scena diversi spettacoli teatrali e indubbiamente

questa è stata per me un'esperienza umana e professionale molto coinvolgente.

Ancora ho applicato il metodo mimico, non finalizzato alla formazione dell'attore, in contesti diversi, ti parlo ad esempio del corso che ho tenuto ultimamente per i giornalisti della RAI.

Qui l'obiettivo era quello di migliorare la dizione e favorire un'espressività più naturale nella lettura di un testo, superare un certo rigore formale sperimentando le diverse modalità espressive e fare informazione con il corpo, la voce, con i gesti, di uno stile più personale.

DOMANDA: Puoi parlarmi della tua esperienza di insegnante di metodo mimico nella «Scuola di Espressione e Interpretazione scenica» di Bari?

RISPOSTA: La ricordo con nostalgia- Ti dico perché: eravamo un gruppo di docenti molto affiatati, tutti cresciuti artisticamente con Costa; avevamo la consapevolezza di dare un contributo serio alla crescita culturale in Puglia (consapevolezza che purtroppo non ha coinciso con una chiara volontà politica, con le conseguenze che conosciamo); lavoravamo, con allievi appassionati, otto ore al giorno, tutti i giorni sul Metodo; la scuola disponeva di un bel salone grande e soprattutto luminoso.

Ho lavorato per tre anni sulla poesia. Nient'altro. Poesia e basta. Puoi immaginare il mio entusiasmo!

Abbiamo cominciato con «Myricae» di Pascoli, scorazzato lungo tutta l'opera di Ariosto (ma fermandoci ad Angelica, Olimpia, la pazzia di Orlando) e poi Dante e Leopardi, Campana, Eliot e Luzi.

Ma come ho lavorato a Bari oggi non si può più, perché, anche se io resto convinta che il lavoro sulla poesia sia determinante per la formazione dell'attore, mi rendo conto che è diffìcile per una scuola offrire la possibilità di studi così lunghi e impegnativi e d'altra parte gli stessi giovani, salvo le dovute eccezioni, sono sempre meno educati alla concentrazione, all'osservazione della realtà, all'approfondimento delle cose. Giovani abituati a ritmi frenetici, che scappano dalle lezioni per andare a fare una pubblicità.

Tu pensa che a Bari per lavorare sui versi di «Vita Nova» ho impiegato quasi un anno! E come si potrebbe in minor tempo? Penso a Rilke. Rilke dice che i versi non sono sentimenti, ma esperienze e che non basta il ricordarle per scriverne: «Occorre saper dimenticare i ricordi, quando siano numerosi, possedere la grande pazienza d'attendere che ritornino. Perché i ricordi in sé non sono ancora poesia. Solo quando diventano in noi sangue, sguardo, gesto; quando non hanno più nome e non si distinguono più dall'essere nostro, solo allora può avvenire che in un attimo rarissimo di grazia, dai loro folto si levi e prorompa e si levi la prima parola di un verso».

Che può fare un attore che ha fretta? Nulla.

Lo so, lavorare sulla poesia non è facile, non si ha la maschera del personaggio, siamo scoperti, il lavoro è su noi stessi. E più si va a fondo più c'è pudore ed è giusto che sia così. Le scorie bruciano facilmente, ma se la parola di un poeta tocca in noi qualcosa di essenziale, un forte pudore sta lì ad impedirne l'espressione. Ciò che la libera è solo la fiducia nei compagni, nel gruppo, nell'insegnante, il clima di silenziosa attesa e sicura accoglienza che circonda l'attore quando ci sta regalando un momento di autenticità.

Per questo ripensando al mio ruolo di "insegnante di mimica" mi dico che questa parola "insegnante" per la mimica è assolutamente inappropriata, il nostro è un lavoro di maieutica, siamo più vicini forse alla figura di un analista che a quella di un professore: l'analista parla molto poco, non interferisce, sa aspettare, prova una profonda empatia verso i processi creativi dell'altro, li vive mentre li vive l'altro, non li conosce già. E così quando sto davanti ad un attore, aspettando l'intuizione di una intonazione, cosa vuoi che insegni?

«La voce è un organo dell'immaginario» dice Barthes. Mi piace questa definizione e allora a maggior ragione mi dico: «Che posso sapere io dell'immaginario di un altro?». Io sono solo presente, complice semmai, condivido l'irruenza di ciò che vuole necessariamente nascere e, tutto sommato, è solo per il privilegio di partecipare a questi momenti che faccio questo mestiere.

DOMANDA: Sarebbe interessante tu mi parlassi di come prosegui il tuo lavoro di "insegnante" di metodo mimico con i tuoi allievi che si preparano a diventare attori cinematografici.

RISPOSTA: Da diversi anni lavoro a Roma al Centro Sperimentale di Cinematografia e alla scuola «Laboratorio Cinema». Mi occupo quindi della formazione dell'attore cinematografico.

Ovviamente per il cinema più che per il teatro è importante il volto dell'attore. Ne parlavo proprio con Orazio il quale mi diceva che un volto moderno e sofferente deve riuscire a darci più dei ritratti tormentati della storia e deve continuare a parlarci con il massimo di dignità.

E poi che cosa avrebbe a che fare un volto di oggi, ad esempio, con la serenità di un fanciullo greco?

E ancora Costa mi faceva riflettere sul fatto che con il Cristianesimo si è parlato di Dio nel volto umano. In effetti il mistero del mondo sta tutto dietro la faccia di un uomo o di una donna, quantì ritratti stanno nella nostra memoria con il loro segreto!

O pensa che cos'è per noi il viso dell1"altro", lo guardiamo, lo scrutiamo, cerchiamo di penetrare il suo riserbo, di capire cosa cela di sé, cosa pensa di noi, della vita, della morte, della felicità.

E immagino quanto sarebbe interessante per un attore di cinema studiare gli

innumerevoli ritratti della storia dell'arte. Scriverci su, interpretare quel ritratto.

Ecco questo è uno studio che vorrei proporre. Se poi penso all'uso emozionante del primo piano al cinema, penso a Dreyer, e, per venire ai nostri giorni, sicuramente a Kieslowski.

Un attore di cinema può porsi traguardi artistici forse più ambiziosi di un attore di teatro proprio perché offre il suo volto.

In quanto al lavoro che io faccio con l'attore di cinema è lo stesso di quello che faccio con l'attore teatrale, ma qui privilegio il primo piano. L'esuberanza mimica e vocale che ha animato il corpo scompare e resta tutto nel viso. Un viso quindi pregno dell'esperienza che vive il corpo.

Proprio l'altro giorno al Centro Sperimentale lavoravo sull'immagine del "mare", il corpo degli allievi ha cominciato a muoversi con massa e potenza, la vocalità a diventare fluida nell'espressione di forza e di calma e poi tutto questo è diventato solo primo piano e vedi i visi di giovani di vent'armi assumere un'autorevolezza, una dignità, un'aristocrazia di sguardo, che mi chiedevo come, in quale altro modo si può essere così espressivi se non grazie al metodo mimico, che offre gli strumenti per aderire all'immedesimazione "con l'altro da te", il "mare" in questo

caso, ma che ovviamente è anche un risvegliare un'immagine ulteriore e più di un allievo mi ha detto di aver fatto in questa improvvisazione un'esperienza di pace, di totalità, di aver provato la sensazione del ritorno a una rassicurante profondità di se stessi.

Tutti abbiamo le nostre armonie interiori e i nostri terrori, la inimica ci riporta a questa memoria, le dà espressione.

DOMANDA: Concludendo, preso atto della tua lunga esperienza come insegnante di recitazione, di dizione e avviamento all'espressione, cos'è per te fondamentalmente il metodo mimico?

RISPOSTA: Mi stimoli a fare delle riflessioni sul significato del mio lavoro, che forse senza questa intervista avrei trascurato. Sto pensando cioè che per un insegnante di mimica la cosa straordinaria è il fatto di avere un contenitore in cui tutte le esperienze della vita confluiscono e si trasformano in nuova vitalità da trasmettere agli altri.

E' certo che la mia attività di attrice e di regista ha arricchito il mio insegnamento, come anche lo studio, del resto. La mia passione per il pensiero junghiano e la mia stessa, lunga, analisi personale, hanno aperto nuove prospettive al metodo. E ancora i viaggi, gli incontri, le passeggiate a Villa Pamphili al mattino presto …

Puoi immaginare quanto sia grata ad Orazio per avermi donato questa, ricchezza che cresce e crescerà con me negli anni.

Voglio lasciarti, come augurio per i nostri allievi, con una citazione di Hokusai: «Dall'età di sette anni, avevo la mania di disegnare la forma delle cose. Quando ne ebbi cinquanta avevo pubblicato un'infinità di disegni, ma tutto ciò che ho prodotto prima dell'età di settant'anni non è degno di considerazione, a settantatré anni ho imparato qualcosa circa la struttura reale della natura, degli animali, delle piante, degli uccelli, dei pesci e degli insetti. Di conseguenza a ottant'anni avrò fatto ancora molti progressi; a novanta potrò penetrare il segreto delle cose; a cento certamente avrò raggiunto una fase stupenda e quando ne avrò centodieci tutto ciò che farò, sia un punto, sia una linea, sarà vivo». (Scritto all'età di settantacinque anni, da me Hokusai, il vecchio che va pazzo per la pittura).

Nessun commento:

Posta un commento