lunedì 29 novembre 2010

Il Metodo Mimico di Orazio Costa. INTRODUZIONE AL MIO VOLUME IN USCITA

INTRODUZIONE

In foto Andrea Camilleri, allievo di Costa nel 1949-50 in Accademia Silvio D'Amico di Roma


di Renzia D'Incà



Conobbi Orazio Costa nel 1987. Viveva a Firenze, nella zona di San Lorenzo. “E’ una zona bassa della città- disse- bellissima, ma degradata. Il quartiere storico del mercato, che richiama turisti da ogni parte del mondo, è oggi a distanza di  diversi anni, abbandonato dai fiorentini e colonizzato da maghrebini, cinesi, romeni, una colorata e rumorosa comunità. Chissà che cosa ne avrebbe scritto Costa nei suoi appunti quasi quotidiani che costituiscono un patrimonio straordinario di intelligenza critica e note personali.

Ricordo che lo avevo contattato per una intervista che in seguito comparve sul trimestrale di critica Hystrio, per il quale collaboravo. Nel congedarmi, all’altezza della soglia di casa, il mio occhio cadde su una macchia rosa argentea, uno scintillio madreporico che sciamava da una teca di vetro. Dentro, come una minuscola camera delle meraviglie, occhieggiava una colonia di conchiglie multicolori, dalle forme armoniche e bizzarre. “ E’ una parte della collezione - disse il Maestro con tono sommesso- erano di mia madre”. Pronunciò quell’ultima parola- madre, come se stesse pregando.

Lo rividi a Pisa, nel 1989. Era d’estate. A Pisa Costa aveva lasciato frutti importanti della sua attività di didatta. Alcuni allievi avevano da qualche anno fondato una scuola di teatro, abilitata ad insegnare il Metodo Mimico. Proprio in quella scuola, la cui sede era ed è ancora la Chiesa di Sant’Andrea in via del Cuore, credo di aver sentito parlare di Costa con la devozione filiale che si dà a un vero Maestro.

Non ricordo come ed esattamente scattò in me il desiderio di approfondire e conoscere il lavoro del maestro. Certo è che qualcosa o qualcuno riuscì a far germinare dentro di me una curiosità e una passione che trascendono anche la più complice e corriva voglia di inseguire piste e segnalazioni sulle tracce di una presunta buona notizia o dell’evento da raccontare. Nel caso della pista verso Costa credo si possa trattare più di fascinazione per qualcosa di misterioso e sottile, come quando, addotti da un qualche filtro magico, cadiamo nella rete di un mistero che ci avviluppa e di cui abbiamo bisogno di sgrovigliare il filo. Per comprendere e comprenderci.

Ho sempre sospettato che destino e personalità procedano con passo eguale lungo i percorsi della via terrena: il carisma di Costa, che ho conosciuto oramai anziano, era indicibile. Lo ricordo al Convegno sul Teatro dello spirito a San Miniato nell’estate del 1991, una giornata di riflessione e studio organizzata per la Festa del Teatro a San Miniato, sulle colline fra Firenze e Pisa, era luogo dell’anima del maestro. Proprio là nel lontano 1949 Costa realizzò una delle regie memorabili della sua lunga carriera: Il poverello di Copeau. Era la Festa del teatro, un’idea di Silvio D’Amico che ancora oggi dopo più di 50 anni continua a mettere in scena testi a carattere religioso. Ricordo una signore bello ed elegante, con una gran massa di capelli bianchissimi che occhieggiavano da un panama rigorosamente bianco, vestito con un completo di lino bianco. Candido. Una voce spezzata Una voce candida.

( segue)

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